Di Hossam Rabie da ANSAmed del 16 febbraio 2022
A prima vista, non si immagina che lì sia stata organizzata una mostra: alla fine di un vicolo del quartiere Khalifa, nel centro storico del Cairo, fra fognature rotte e venditori ambulanti che evocano miseria, ci si imbatte in “Mneen”, un’esposizione di disegni e ricami organizzata da Daniele Manno, un artista di Agrigento noto col nome di ‘Maninelkaos’ che trae ispirazione dal caos della capitale egiziana e vuole salvare un’arte del passato.
La mostra ‘Mneen’, che in arabo vuol dire ‘da dove vieni’, è in corso in un edificio storico dal 10 febbraio e durerà sino a fine mese in collaborazione con ‘Athar Lina’, un’associazione impegnata nel preservare il patrimonio del distretto di Khalifa dove si trovano decine di siti dell’era islamica. Nell’ambito dell’esposizione, si tiene un seminario organizzato da Manno per trasmettere tecniche di ricamo a persone interessate alla versione mediorientale di quest’arte.
Fin dall’inizio, ‘Mneen’ ha fatto un discreto clamore nella capitale egiziana e all’inaugurazione hanno partecipato più di cento visitatori egiziani e stranieri. Del resto, già nella primavera scorsa, Manno – con la scultrice francese Valie Guillard – aveva tenuto una mostra di illustrazioni e grafiche in collaborazione con il Ministero della Cultura egiziano.
“Ho vissuto al Cairo per due anni, uno prima della pandemia e uno durante” la crisi, ha detto ad ANSAmed il 36enne siciliano.
“Ho avuto la fortuna di vederla nel 2019”, una “città di 25 milioni di abitanti” dove le giornate non hanno fine e “puoi comprare pantaloni alle 3 del mattino”.
Ma più che per far l’alba nei caffè, la permanenza al Cairo ha dato a Manno un’occasione per tener fede al suo nome d’arte e mettere appunto le “mani-nel-kaos” della capitale egiziana, soprattutto nei quartieri popolari: “Sono stato sorpreso da alcune cose che non avevo mai visto in vita mia” ma “che gli egiziani vedono sempre e trovano normali”, ha rievocato aggiungendo: “In effetti, la bellezza si trova in ogni angolo, in tutte le architetture spontanee, negli atteggiamenti degli egiziani, nei chioschi, nelle finestre, ovunque”.
“L’architettura detta informale ha, al Cairo, certe caratteristiche di intelligenza che non si trovano altrove. Inoltre, l’uso della luce a ‘Led’ assume una dimensione artistica molto importante, che per me è fonte di ispirazione, come tutto al Cairo”, ha notato ancora l’artista.
Attraverso uno sguardo ‘vergine’, Manno ha trasformato in disegni e ricami il caos della megalopoli mediorientale. “Il contenuto dei miei lavori racconta di certi quartieri, di certe feste e di certi atteggiamenti del popolo egiziano che mi hanno positivamente sorpreso” ed esprime questa sorpresa anche attraverso arazzi.
Nelle sue creazioni ambientate nel vecchio Cairo si vedono scarichi fognari a cielo aperto, tre persone che dormono in una stanza, gatti randagi. “Un quartiere popolare non interessa a un egiziano, perché è molto comune. Invece per me, comune non è”, ha detto l’artista.
Dopo aver realizzato i disegni, Manno ha avuto un’idea: trasformarli in “khayamiya”, ossia arazzi. E così è andato da una famiglia che da quattro secoli li intesse nel centro storico del Cairo, tramandando questa arte di generazione in generazione: e lo ha fatto non solo per far trasporre le sue linee su tessuto, ma anche per imparare egli stesso le tecniche del ricamo.
“Sono stato fortunato a vivere la pandemia da coronavirus al Cairo”, ha detto riferendosi all’opportunità di entrare in contatto con questa famiglia di tessitori e apprendere le loro tecniche.
La “khayamiya”, o “ricamo”, è un’arte mediorientale che risale all’antichità, quando le tende erano appunto adornate con questa tecnica ancora utilizzata per abbellire matrimoni, funerali, celebrazioni varie ed eventi ufficiali. Anche se, purtroppo, quest’arte comincia a perdere il proprio valore presso gli egiziani, ha constatato Manno. E la sua mostra punta a contrastare questa tendenza.