Da Repubblica.it del 29 aprile 2019
Ora è proprio vero. Il binomio Guggenheim-Gehry si ripeterà. Il remake dell’accoppiata che ha prodotto, a Bilbao, una delle icone dell’architettura museale (e non solo) dell’ultimo secolo, sarà realizzato ad Abu Dhabi, nell’isola di Saadyat, dove sta nascendo un’autentica città dei musei, con il recente Louvre di Jean Nouvel, l’imminente (2020) Zayed National Museum firmato Norman Foster, e appunto, il cosiddetto “Guggenheim delle Sabbie”.
Un progetto annunciato dodici anni fa, ma ritardato – al pari di altre grandi opere delle metropoli del Golfo Persico – dall’andamento altalenante del petrolio nell’ultimo decennio, che ora sembra avviato a prendere il via. Una conferma che arriva da Richard Anderson, direttore della Guggenheim Foundation (di cui fanno parte oltre a Bilbao l’originale Museo della 5th avenue newyorkese, siglato Frank Lloyd Wright, e la fondazione intitolata a Peggy di Venezia). In una recentissima intervista, Armstrong ha assicurato che “siamo in orario e nel budget: cominceremo presto a costruire”. Il direttore non ha svelato una data di apertura precisa, ma lasciato intendere che i lavori potrebbero essere cosa fatta in tre-quattro anni.
L’apertura potrebbe dunque avvenire nel 2022: dieci anni dopo il previsto, 5 dopo la data di inaugurazione fissata dopo il primo slittamento, 2017. Il complesso si alzerà sulla punta nordoccidentale dell’isola Saadyat, circondato per tre parti dall’acqua del Golfo e sarà il Guggenheim finora più grande quanto a superficie espositiva. Come il Louvre Abu Dhabi di Jean Nouvel, che ha aperto nel novembre 2017, e il futuro Museo Nazionale Zayed National Museum, entrambi progetti arrivati a conclusione con ritardi rispetto alle previsioni, anche il nuovo Guggenheim farà parte del complesso culturale dell’isola gestito dalla Tourism Development & Investment Company (TDIC) degli Emirati.
Come il Louvre, anche il progetto del Guggenheim rappresenta un test di alto profilo da parte delle monarchie del Golfo che puntano a diversificare le loro economie dal petrolio attirando ad Abu Dhabi turisti occidentali. E anche intorno a questo progetto non sono mancate le polemiche, legate al maltrattamento dei lavoratori migranti nel Golfo, e lo stesso direttore del museo, Thomas Krens, che nel 2006 aveva concluso l’accordo con gli emiri, successivamente ha espresso le sue riserve.
Circa l’85% dei dieci milioni di residenti negli Emirati sono stranieri, per lo più operai provenienti dall’Asia sudorientale, costretti a lavorare, secondo gli attivisti per i diritti umani, in condizioni forzate e di quasi schiavitù. Nel 2017 in una lettera al gruppo Human Rights Watch, Armstrong aveva detto che la Fondazione “condivide l’impegno per la salvaguardia delle condizioni di chi costruirà il museo”, ma aveva aggiunto che “data la complessità globale del problema e la natura del Guggenheim come istituzione culturale, le nostre risorse sono meglio in un lavoro di coordinamento con le autorità sugli obiettivi condivisi del Guggenheim Abu Dhabi”.