di Chiara Maria Lévêque.
Tayeb Salih
Le nozze di al-Zain
Sellerio, Palermo 2013
Tayeb Salih, in questo piacevole racconto, tratteggia i contorni di un villaggio sulle rive del Nilo, in Sudan, e della sua gente, con rapide pennellate da dipinto impressionista. Protagonista è il carismatico al-Zain; nato ridendo, è provvisto di due soli denti in bocca: “il viso di al-Zain era allungato, con le ossa delle sopracciglia, delle mascelle e degli zigomi pronunciati. Le fronte prominente e circolare, gli occhi piccoli e sempre arrossati, con le orbite infossate come due caverne su una faccia. Sul suo volto non c’era un solo pelo, e non aveva né ciglia né sopracciglia, e anche dopo esser giunto alla maturità non aveva né barba né baffi”.
Soprannominato giraffa a causa del suo lungo collo, temuto da tutti i banchetti nuziali a causa della sua voracità, al-Zain cade ripetutamente preda di facili innamoramenti che lo trasformano ben presto nello zimbello del paese: i padri gli promettono sadicamente in sposa le figlie, facendolo ogni volta “morire d’amore”.
“Si innamorava solo delle ragazze più belle e attraenti del paese, quelle più educate, e quelle con la parlata più dolce”, le stesse che ben presto andavano in sposa ad altri. Ed è così che le madri del paese capiscono che al-Zain funge da altoparlante: se si fosse innamorato delle loro figlie, infatti, ne avrebbe declamato le doti ai quattro angoli del villaggio facendo sì che molti altri pretendenti bussassero alla loro porta. al-Zain ne guadagna perciò inviti a casa, con la promessa di vassoi colmi di cibo e caffè alla cannella, cardamomo e zenzero, secondo la tradizione araba.
La madre di al-Zain va dicendo che il figlio è un prediletto di Dio e questa convinzione prende ben presto piede tra la gente, corroborata dalla particolare amicizia che lega il giovane a al-Hunain, uomo pio e devoto sul cui conto si narrano innumerevoli leggende.
Ed è proprio l’amicizia con al-Hunain a cambiare la sua vita e le sorti del villaggio: “al-Zain è Benedetto. Ben presto sposerà la più bella figliola del paese” dice un giorno l’eremita e, intervenendo in una rissa che vede coinvolto al-Zain e il fratello di una delle sue fiamme, riporta la pace tra i due e benedizioni sul villaggio.
Da quel giorno il figlio dissoluto di al-Badawi l’Orafo si converte, i prezzi del cotone aumentano e il governo per la prima volta concede agli abitanti di coltivarlo; viene costruita una grande caserma per l’esercito e il paese inizia a smerciare cibo e acqua in abbondanza ai soldati; vengono creati un ospedale da 500 letti, scuole e infrastrutture. Ma il miracolo più grande è senza dubbio il matrimonio di al-Zain con la bella, ricca e diligente Ni’ma, sua cugina di primo grado, che tra tanti pretendenti sceglie proprio lui.
Un libro dove le tradizioni araba, musulmana e africana si fondono, dove le parole più particolari come gli zagharid, i falsetti prolungati cantati dalle donne nelle ricorrenze speciali, sono spiegate in nota e dove, se si chiudono per un attimo gli occhi, ci si può ritrovare nel cuore del Sudan, dove “le rane gracidano nel Nilo e da nord soffia un vento umido impregnato di rugiada che porta un profumo che è un misto della fragranza dei fiori dell’acacia, l’odore della legna bagnata, l’odore della terra fertile riarsa quando si disseta d’acqua”.
Questo piccolo classico è stato adattato in Libia per il teatro e trasposto in film dal kuwaitiano Khalid al-Siddiq. Completano il libro due tra i migliori racconti brevi dell’autore: “Una manciata di datteri” e “Il dum di Wad Hamid”. Il primo è incentrato sul tema della proprietà della terra, visto attraverso gli occhi di un bambino; il secondo è focalizzato sulle contraddizioni e la bellezza della terra d’Africa spiegate attraverso le sue tradizioni e credenze.