di Chiara Maria Lévêque.
Autori vari, a cura di Valentina Colombo
Non ho peccato abbastanza
Oscar Mondadori, Cles 2007
Questa raccolta di poesie a cura di Valentina Colombo ci regala una immagine del mondo arabo decisamente innovativa: alcuni testi, trasudanti libertà, appaiono prettamente occidentali; altri sono densi di struggimenti d’amore e altri ancora narrano la segregazione femminile. Nella loro poliedricità, hanno il pregio di regalarci la visione d’insieme di una classe intellettuale femminile che pur narrando la voce di diversi Paesi ha dei tratti in comune e contribuisce a creare una memoria storica condivisa del mondo arabo contemporaneo, seppur fermo al 2007 e quindi privo dei riferimenti cruciali degli ultimi anni.
La poesia araba nasce in epoca preislamica e trae ispirazione da Enheduanna, sacerdotessa sumera vissuta tra il 2285 e il 2250 a.C., che compose le sue opere nell’alfabeto cuneiforme ed è considerata la prima poetessa e scrittrice della storia. Accanto a lei, altra musa ispiratrice delle poetesse arabe contemporanee è la biblica Lilith, demone notturno tormentatore di uomini, ripresa anche dalla tradizione ebraica quale tentatrice di Abramo.
La poesia araba è stata rivoluzionata negli anni Quaranta dall’irachena Nazik al-Mala’ika, acerrima nemica del comunismo nel suo Paese e costretta a riparare in Libano, che ci narra l’indifferenza nei confronti delle donne, persino dinnanzi alla loro morte:
“(…) Ci ha lasciati senza un pallore di gota o un fremito di labbra
le porte non hanno sentito nessuno narrare della sua morte
nessuna tenda alle finestre stillante dolore (…)”
Sempre dall’Iraq si leva la voce di Dunya Mikhail, laureata in Lingue all’Università di Baghdad, che vive negli Stati Uniti dove insegna. I suoi versi sono colmi di ironia:
“Ringrazio tutti coloro che non amo
perché non mi fanno venire il mal di testa
non mi fanno scrivere lunghe lettere
non agitano i miei sogni
non li attendo in ansia
non leggo i loro oroscopi sul giornale
non compongo il loro numero di telefono
non li penso.
Li ringrazio molto
non mi mettono in subbuglio la vita(…)”
e ancora ne “La guerra lavora molto”:
“ (…) La guerra lavora molto
non ha simili
ma nessuno la loda”.
In “Pronomi”:
“Lui fa il treno
lei fa il fischio
loro partono.
Lui fa la corda
lei fa l’albero
loro dondolano.
Lui fa il sogno
lei fa la piuma
loro volano.
Lui fa il Generale
lei fa il popolo
loro dichiarano guerra”.
Dall’Iraq il volume raccoglie anche le opere dell’ingegnere elettronico Golala Nuri e la voce di Amal al-Juburi, giornalista e traduttrice attualmente residente in Germania che dedica alla figura di Enheduannaversi densi di ammirazione.
Dal Libano la voce di una esponente di punta della poesia araba contemporanea come Joumana Haddad, dell’autrice teatrale Nada al-Hajj che incita alla ribellione dai costumi tradizionali “(…) Non è forse la libertà cibo squisito?”, della poetessa e critica cinematografica Inaya Jaber e della poetessa e pittrice Suzanne Alaywan con il suo carico di dolore
“(…) Gli altri sempre
con le loro scarpe infangate sulla superficie della mia anima”.
Siriane sono invece A’isha Arna’ut, Saniya Salih e Maram al-Masri, quest’ultima con le sue pene d’amore narrate in versi:
“Sono la ladra dei dolci
esposti nel tuo negozio
le mie dita sono appiccicaticce
e non sono riuscita
a metterne uno solo
in bocca”.
Dall’Egitto Iman Mersal, docente all’Università di Alberta in Canada che riporta l’attenzione alla condizione della donna:
“(…) tu sei buono, ma hai perso la saggezza
quando mi hai fatto credere che il mondo è simile a un istituto
femminile
e che io devo annullare i miei desideri
per continuare a essere la prima della classe”.
Fatima Na’ut completa il contributo egiziano a questa raccolta con:
“(…) Gli infelici
hanno dimenticato che dietro le loro orecchie
ci sono le branchie
e non riescono a respirare”.
La raccolta continua poi con le voci di Hoda Ablan dallo Yemen, laureata in Scienze Politiche, di Saadiyya al-Mufarrih, laureata in Lingua Araba all’Università del Kuwait, di Wafaa Lamrani insegnante di Letteratura in Marocco, di Fawziyya Abu Khalid dall’Arabia Saudita, laureata in Sociologia presso l’Università Americana di Beirut, di Nujum al-Ghanime Maisun al-Saqr al-Qasimi dagli Emirati Arabi Uniti, così come di Zhabiya Khamis, laureata in Scienze Politiche e Filosofia all’Università dell’Indiana e in Letteratura araba moderna presso l’Università Americana del Cairo, incarcerata per cinque mesi senza processo a causa dei suoi scritti messi al bando.
Dal Bahrain la voce di Fawziyya al-Sindi, e di Hamda Khamis, laureata in Scienze Politiche all’Università di Baghdad. Suoi i versi:
“Ogni corpo
è un essere vivente.
Ogni poesia
è femmina”.
Dalla Libia,Laila Naihum con la sua freschezza:
“(…) che meraviglioso succo di mango
odore di barbecue
passanti sorridenti.
Che travolgente felicità
mi pervade!”
e Fatima Mahmud, quest’ultima rifugiata in Germania a causa delle sue posizioni contrarie al regime: “(…) La staccionata è il cappio della geografia”.
Zakiya Malallah scrive invece dal Qatar, Amal Musa dalla Tunisia, Rabia Djelti dalla Francia dove è rifugiata a causa dei contrasti avuti in Algeria circa la condizione della donna. Ed infine dalla Palestina Fadwa Tuqan e da Israele Siham Dawud, entrambe voci della nostalgia profonda per la propria patria perduta. Della prima sono i versi:
“(…) Desidero solo morire nella mia terra,
(…) Desidero solo restare nel senso della mia patria,
terra
erba
o fiore”.
Della seconda invece:
(…) Mi struggo per le folate di vento della mia terra –
sempre in partenza, lascio l’amore presso indirizzi
che non possono nemmeno essere cercati (…)”.
È una raccolta che scorre come musica, piacevole e ben incorniciata da una introduzione critica che fornisce al lettore le corrette chiavi di lettura per collocare nella giusta dimensione ogni verso narrato.