Hafez Haidar è uno scrittore e poeta di origine libanese, ma di cittadinanza italiana. Ha pubblicato vari libri di saggistica e di narrativa ed stato insignito di numerosi Premi letterari, come il Premio Letterario Basilicata (2002), il Premio internazionale Sorrento nel mondo alla Cultura (2006), il Premio alla cultura per le iniziative letterarie dell’Unione nazionale degli scrittori della Lombardia (Circolo della Stampa, Milano 2008). Nel 2014 ha ricevuto il titolo di Cavaliere all’Ordine e al Merito della Repubblica Italiana per il dialogo tra Oriente e Occidente. Oggi insegna all’Università di Pavia ed è considerato tra i maggiori studiosi delle religioni monoteistiche.
Hafez, sei uno scrittore molto apprezzato e i premi letterari che hai ricevuto parlano da soli. Tra questi, nel 2002 hai vinto il Premio letterario Basilicata Sezione Letteratura Spirituale e Poesia Religiosa. Che cosa ha rappresentato per te questo risultato?
È stata una vera sorpresa. Si tratta di un Premio che in precedenza era stato assegnato a persone illustri come l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, all’arcivescovo Gianfranco Ravasi, al ministro della Cultura della Santa Sede, a Elio Toaff, a padre David Maria Turoldo e al poeta Mario Luzi. Mi ricordo ancora che quando me l’hanno comunicato stavo giocando con mia figlia, che all’epoca aveva 4 anni. Pensavo fosse uno scherzo. Il giorno della premiazione ho concluso il mio discorso con una poesia inaspettata, “Basilicata, terra promessa” che oggi si trova anche appesa nel Palazzo della Provincia della Basilicata.
Tra i numerosissimi premi che hai ricevuto, qual è quello a cui tieni di più?
L’affetto della gente, del pubblico. Mi sento un missionario in questo mondo, c’è bisogno di giustizia e verità. Del resto, a cosa serve un premio se non ci si mette a disposizione degli altri, dei giovani?
Quando è iniziato questo tuo amore per la letteratura?
Scrivo poesie da quando avevo 6 anni. Poesie classiche che sono diventate moderne con il tempo. All’età di 15 anni ho anche avuto modo di recitare davanti a poeti famosi come Said Aql e Nizar Qabbani. Devo molto anche a mio cugino Chouchou (nome d’arte del comico Hassan Ala’eddin) che in Libano era molto famoso, conosciuto quasi come Totò in Italia. È stato lui ad introdurmi nel mondo dell’arte.
Il Libano è il tuo Paese natale. Qual è il tuo legame con questa terra?
Per me il Libano è come un grembo materno, mi ha dato tutto. È un paese bellissimo, pensiamo anche solo al Tempio di Salomone che è stato costruito con i cedri del Libano. Questo Paese mi fa pensare ai miei affetti, alla mia famiglia. Il Libano è lo scrigno magico del mio passato, ma anche del mio presente.
Qual è il ricordo più forte che ti ha lasciato?
La mia famiglia. Mio padre, che è morto quando avevo solo 7 anni, era un uomo dal cuore generoso che ha venduto tutto per aiutare i poveri.
Poi,nel 1978, sei arrivato in Italia…
È un po’ come se avessi vissuto due vite: 18 anni in Libano e poi, dopo due anni in Kuwait, l’Italia. In Libano ho affrontato i primi studi che mi hanno aperto al mondo, mentre l’Italia ha completato la mia avventura di vita dandomi l’amore e insegnandomi a lavorare per la pace.
Quello della Pace e del dialogo è un impegno che stai portando avanti da molto tempo e nel 2007 hai vinto il Premio al dialogo “Tre volte Dio”…
Bisogna abbattere i muri dell’indifferenza e dell’odio. L’amore è più potente dell’ira, la compassione è più grande della violenza. Il perdono è un ponte per andare al cuore di Dio e dell’uomo.
Ecco qualche tuo pensiero:
“Aiutiamo l’uomo a scoprire la luce e ad uscire dalle tenebre per abbracciar la vita. Aiutiamo l’uomo privo di cuore ad entrare nei nostri cuori per conoscere i frutti della gioia e dell’amore. Aiutiamo l’uomo a portare le rose al posto delle armi”.
“Chi ha ucciso un solo bambino ha ucciso tutta l’umanità,
Chi ha calpestato o maledetto un solo bambino, ha spento tutte le candele dell’amore di Dio
nel suo cuore. Chi ha violentato una sola ragazza inerme ha rabbuiato il cielo, il mondo
intero”.
“La povertà è la grande gabbia degli innocenti”.
Questo tuo impegno per la pace è stato riconosciuto anche dall’Esercito libanese…
Sì. Mi è stato assegnato il premio dell’Alto Comando dell’Esercito libanese. Un gesto che mi ha molto onorato perché significa che hanno riconosciuto il mio impegno per la pace. Oggi aiuto l’esercito libanese a sostenere la crescita e lo sviluppo del Paese.
Hai scritto molto anche sull’amore…
“Il primo sguardo, il primo bacio e il primo abbraccio costituiscono la base dell’universo.
Tutto ciò che esiste sotto il firmamento palpita come un cuore innamorato: persino le rocce, le piante, i petali amano e si liberano nello sconfinato spazio sotto la cupola celeste trafitta dai raggi del sole.
Nell’amore non c’è differenza tra il nobile e il paggio, tra il re il ciambellano poiché tutti possiamo provare gli stessi profondi sentimenti e siamo venuti alla luce proprio grazie all’amore.
E quando l’amore bussa, bisogna subito aprirgli la porta del proprio cuore per permettergli di trasportarci nell’eden dei sentimenti.
Ci troviamo allora in un mondo immaginifico e surreale dove il cielo, la terra, il maree il bosco si tramuteranno in nidi per gli innamorati che si sveglieranno abbracciati quando la notte penetrerà nel giorno e si addormenteranno avvinghiati quando il giorno si tramuterà in notte.
L’amore racchiude la melodia del creato, le note dell’eterno e la sinfonia di tutto ciò che è passato, presente, e futuro.
E’ la nostra provvista quotidiana, è la nostra ancora di salvezza nei momenti ottenebrati dalle avversità del tempo. In esso ci rifuggiamo. Cerchiamo protezione sotto le sue ali ed esso ci accoglie come una madre e ci consola per permetterci di liberarci nuovamente sotto un cielo tempestato di stelle scintillanti.
Quando scorgiamo le orme dell’amore, dobbiamo intraprendere il cammino verso l’atteso sogno senza temere né il cocente sole né il gelido inverno. E all’arrivo dobbiamo stringere al petto l’amata senza alcun ripensamento, fondendoci in essa in un solo corpo, un solo spirito e un solo cuore, finché vedremo apparire in cielo l’arcobaleno dell’amore.
Come la purpurea rosa ha bisogno della rugiada, della brezza mattutina e dei raggi del sole per emanare il suo fragrante profumo, così l’amore ha bisogno di emozioni, sospiri, palpiti per fare sbocciare i suoi petali al cospetto del sole e della luna”.
“O rosa, ti ho cercata
Tra tutte le rose, ma non ti ho trovata. Ho patito, ho gridato, ho urlato,
girovagato
da una terra a un’altra nell’immensità. Alla fine ti ho trovata quieta, addormentata
nel mio cuore”.
Ti hanno spesso associato a un grandissimo nome come Khalil Gibran. Che cosa ha rappresentato per te questo grandissimo autore?
È stato il mio professore di vita. Avevo 10 anni ed ero a casa di mia zia quando ho letto per la prima volta “Le ali spezzate” che poi, dopo tanti anni, ho tradotto. Nel 2014 ho scritto un libro di poesie intitolato “L’ultimo Profeta, Gibran nel mio cuore”, grazie al quale ho ricevuto il fiorino d’oro di Firenze. Insomma, ho fatto tanto della sua strada, non ho fatto la sua strada.
A quali altri autori sei affezionato?
Dante Alighieri, Carducci, Leopardi e Pirandello.
Quali consigli daresti a tutti quelli che si apprestano a studiare la lingua araba?
Metterci amore, passione. Non bisogna avere fretta, è necessario avere pazienza perché ogni cosa fatta con la fretta non porta buoni frutti. Insegno anche questo ai miei allievi e devo dire che funziona.