a cura di Camille Eid
Se vi capita, facendo zapping, di vedere una giovane telegiornalista apparentemente italiana pronunciare correttamente delle lettere aspirate arabe allora è proprio lei. “Sai, noi mediorientali abbiamo una certa dimestichezza con le lingue straniere”, dice ridendo Iman Sabbah. Giornalista di Rainews24, Iman è cittadina israeliana di origine palestinese – ossia araba-israeliana – e vive da undici anni in Italia
Iman, puoi raccontarci un po’ la tua avventura in Italia?
Sono arrivata in Italia perché ho vinto, nel 1997 insieme ad altri studenti di Nazareth, una borsa di studio a Roma. All’inizio, mi sono dedicata allo studio della lingua italiana che ignoravo completamente, poi mi sono iscritta a Scienze della comunicazione, indirizzo giornalismo. Quando nel 2003 – ero ormai laureata – è scoppiata la guerra in Iraq alla Rai serviva qualcuno che conoscesse l’arabo, l’ebraico oltre alle lingue europee, così ho firmato il mio primo contratto con RaiMed, il primo canale bilingue in Europa. Ogni giorno dovevo preparare con altri colleghi arabi dei programmi sulla guerra e seguire il lavoro di traduzione del Tg3 in arabo. Dopo circa tre anni, il direttore Corradino Mineo mi ha chiesto di affiancarlo nella conduzione del programma Il Caffè. La mia collaborazione con Rainews24 risale a parecchi anni prima quando ho cominciato a condurre il programma Il Chiosco – sguardo sulla stampa euro-araba e a curare programmi di approfondimento sulla realtà del Medio Oriente.
Una curiosità: i tuoi colleghi ti chiedono come pronunciare bene un nome proprio arabo?
Ah, sempre. La cosa che però mi sorprende di più è che molti di loro esprimono pure il desiderio di studiare l’arabo. La lingua araba in questi ultimi due anni è diventata quasi di moda nel mondo dei mass media. Non solo è cresciuto l’interesse per le informazioni sul mondo arabo, ma anche quello per la lingua e la cultura araba in generale.
Pensi che sia più corretto per un telegiornalista comunicare il proprio giudizio su un determinato evento, oppure osservare una certa “neutralità” lasciando al telespettatore il compito di trarre da solo un giudizio?
Sicuramente un giornalista non deve esprimere giudizi, ma raccontare la realtà per quella che è. I giudizi personali non favoriscono la buona comunicazione di una notizia. Un commento, un’opinione sono sempre graditi, ma non un giudizio gratuito. Se poi uno trae il giudizio sbagliato gli si fa semplicemente notare che il suo non corrisponde alla verità. Ecco, io considero che il mio dovere sia quello di raccontare la verità, a prescindere da chi trovo davanti a me. A Raimed cerchiamo di andare oltre i pregiudizi, di analizzare bene gli argomenti che trattiamo. L’impegno per una comunicazione migliore deve, infatti, partire dal singolo giornalista, che ha una grande responsabilità sia nei confronti delle sue fonti sia verso i lettori e i telespettatori. Raccontare la realtà come la vediamo noi, come l’abbiamo vissuta noi, alla fine diventa una realtà, non un semplice giudizio controproducente.
In Italia hai notato una certa ignoranza riguardo le questioni del mondo arabo?
L’ignoranza è dovuta alla confusione in cui alcuni mezzi di informazione trascinano il pubblico. Il problema è la tendenza alla generalizzazione. Molti italiani non sanno, ad esempio, che il mondo arabo è variegato, che la società tunisina non è identica a quella saudita. Nella rassegna che presentiamo al Chiosco cerchiamo di raccontare all’Europa l’altra faccia del mondo arabo e al mondo arabo l’altra faccia dell’Europa. Proponiamo gli editoriali e le informazioni che si basano su notizie corrette e facciamo una selezione attenta. Purtroppo notiamo ogni giorno che ci sono problemi di comunicazione tra i due mondi perché non c’è una conoscenza reciproca e c’è una eccessiva politicizzazione della religione.
Ricordi un episodio da te sperimentato in prima persona?
Uno mi capita tutte le volte che mi devo presentare: Non appena dico che sono cittadina israeliana, mi rispondono quasi sempre “Ah che bello, sei ebrea!”. Allora devo aggiungere: “E invece sono araba”. E loro: “allora sei musulmana!”. Così aggiungo di nuovo: “E invece sono cristiana”. Qualcuno va avanti chiedendosi se esistono dei cristiani da quelli parti, dimenticando che si tratta della Terrasanta.
A questo punto in che cosa individui la tua “missione” di informare?
Per me è già una missione raccontare da dove vengo, parlare della mia famiglia, della mia città. Il mio rapporto con Nazareth è fortissimo e io ci torno spesso.
E con l’Italia?
Trovo la gente in Italia molto simile a quella della mia Galilea. Condividiamo lo stesso spazio mediterraneo e così anche tanti valori. Mi trovo bene a Roma, mi sento a casa. L’Italia è diventata la mia seconda casa.
Hai vinto il premio internazionale “Hotbird Tv Award”. Ci dici la motivazione?
L’ho vinto per il mio lavoro a Chiosco. Il programma continua ancora con un altro nome su Rainews24. Si tratta di una rassegna della stampa araba, magari di quelle notizie che sfuggono ai mass media italiani. Cerchiamo poi di analizzare quelle più importanti con degli ospiti, non solo italiani, ma anche del mondo arabo. Se dobbiamo, ad esempio, trattare un argomento che riguarda la Libia contattiamo un esperto o analista libico per aiutarci a capire meglio il retroscena. Raimed è stato il primo progetto mediatico in Europa ad occuparsi di mondo arabo e in lingua araba. Peccato che la Rai non abbia potuto svilupparlo ulteriormente.
Alludi forse al mancato progetto del telegiornale in lingua araba?
Esattamente. Abbiamo fatto delle prove per il lancio di questo telegiornale ma, ahimé, ci sono state alla fine alcune complicazioni di ordine burocratico e il progetto è stato rinviato a tempi migliori. Spetta al governo, alla Rai, decidere cosa fare del progetto in futuro. Noi giornalisti siamo comunque a disposizione, e se ci chiamano siamo pronti.
Con il tuo assillante ritmo di lavoro riesci a tenerti aggiornata in tema di cultura araba?
Provo a seguirne lo sviluppo nel limite del possibile. Quando torno a Nazareth cerco di acquistare le novità letterarie, ma non è così semplice trovare in Israele simili libri. Ho degli amici che me li procurano a Beirut.
Ospiti alla tua rubrica anche intellettuali arabi?
Ogni volta che vengo a sapere del passaggio a Roma di qualcuno lo invito. Più spesso mi capita di collegarmi con loro per telefono per avere almeno una volta alla settimana un approfondimento sulla letteratura o l’arte nel mondo arabo.
Come hai vissuto la scomparsa di Mahmoud Darwish?
È stata una doccia fredda. Mi trovavo a Nazareth quando è giunta la notizia della sua morte prematura. Ho così vissuto in diretta l’addio popolare e ufficiale tributatogli a Ramallah. Mi ha particolarmente toccato il discorso del poeta Samih al-Qassem pronunciato al suo funerale. Egli ha parlato a nome di tutti noi.