A cura di Margherita Di Vilio
Farid Adly è un giornalista libico che da anni risiede in Italia. Collabora con diversi giornali tra cui il Corriere della Sera. E’ direttore dell’agenzia stampa bilingue ANBAMED. Molti di voi probabilmente lo ricordano come voce di Radio Shaabi, la pionieristica trasmissione in lingua araba realizzata da Radio Popolare.
Farid, cosa ti ha portato qui in Italia nel lontano 1966?
Sono arrivato grazie a una borsa di studio del mio governo di allora. Ho studiato ingegneria al Politicenico di Milano. Tuttavia, la scelta dell’Italia non è stata del tutto casuale. Ho scelto questa destinazione perché ero innamorato dell’arte italiana: a casa mia, a Bengasi, ho studiato su un tavolo di legno massiccio intarsiato e inciso da maestri artigiani italiani. Ho amato, durante i miei studi al liceo scientifico, l’arte e l’architettura italiane. Quel tavolo – mi raccontava mio padre – era l’unico compenso per l’occupazione della nostra casa di famiglia da parte di un ufficiale dell’esercito italiano, alla vigilia della Seconda guerra mondiale.
Qual è stato il tuo primo impatto con l’Italia?
Appena arrivato in Italia il problema principale è stato con la lingua, che non conoscevo e che ho studiato all’Università per Stranieri di Perugia, una grande istituzione. Oltre a dedicarmi allo studio ho cominciato a gustare il sapore della libertà e della democrazia. Nella Libia monarchica di allora avevamo sofferto di restrizioni costate care, proprio al movimento studentesco: 3 morti a Bengasi e 9 a Zawia e Tripoli tra i ragazzi che manifestavano per la libertà di organizzazione e di espressione nel gennaio 1964. A Perugia io ed i miei compagni libici (eravamo 60 studenti borsisti) abbiamo sperimentato i primi rapporti con il Partito Comunista Italiano e il PSI, con l’ARCI e la CGIL, organizzazioni che ci avevano dato una mano a organizzare l’Unione Generale degli Studenti libici in Italia e in Europa. Mi ricordo l’occupazione dell’Ambasciata nel Giugno 1967, dopo le accuse del presidente Nasser sull’uso delle basi militari americane e britanniche in Libia nella guerra dei Sei Giorni. Il terzo aspetto di novità, nella mia nuova vita in Italia, è stato il modo diverso di concepire il rapporto tra i sessi. Nella società libica non era ammesso il contatto diretto tra ragazzi e ragazze, le scuole erano separate per sesso. Le nostre conoscenze femminili erano racchiuse all’interno della famiglia allargata. La scoperta di possibili relazioni alla pari tra uomini e donne è stata per me una feconda scuola di formazione.
Come potresti descrivere oggi il tuo rapporto con l’Italia e il tuo rapporto con la Libia?
E’ complicato. forse perché non posso ancora definirmi italiano e non sono più libico. Sono in bilico. Ho scelto di rimanere cittadino libico anche se sono sposato da decenni con una donna Italiana, Mariangela, e ho figli italiani. La mia decisione di vivere nell’esilio non era e non è obbligata, ma una volontaria scelta d’amore. In Italia non mi sono mai sentito straniero. Ho avuto ottimi rapporti con tutti gli amici italiani con i quali sono venuto a contatto. Probabilmente la mia autonomia economica e il periodo politico degli anni Sessanta hanno avuto un effetto positivo sul mio inserimento nel tessuto sociale. In Italia, nel 1980, ho fatto l’esperienza unica e formidabile di Radio Shaabi, la trasmissione in lingua araba di Radio Popolare, un collettivo redazionale senza uguali. Ma i miei legami con la Libia non sono mai cessati; la nostalgia è un pensiero fisso che ti riporta sempre nei luoghi dell’infanzia, ti ricorda gli amici e le avvenutre vissute nell’età più bella: l’adolescenza. Anche se dopo l’esperienza studentesca non ho fatto altre esperienze politiche sul versante libico, le mie battaglie per uno sviluppo democratico del mio Paese non sono mai cessate.
E’ complicato. forse perché non posso ancora definirmi italiano e non sono più libico. Sono in bilico. Ho scelto di rimanere cittadino libico anche se sono sposato da decenni con una donna Italiana, Mariangela, e ho figli italiani. La mia decisione di vivere nell’esilio non era e non è obbligata, ma una volontaria scelta d’amore. In Italia non mi sono mai sentito straniero. Ho avuto ottimi rapporti con tutti gli amici italiani con i quali sono venuto a contatto. Probabilmente la mia autonomia economica e il periodo politico degli anni Sessanta hanno avuto un effetto positivo sul mio inserimento nel tessuto sociale. In Italia, nel 1980, ho fatto l’esperienza unica e formidabile di Radio Shaabi, la trasmissione in lingua araba di Radio Popolare, un collettivo redazionale senza uguali. Ma i miei legami con la Libia non sono mai cessati; la nostalgia è un pensiero fisso che ti riporta sempre nei luoghi dell’infanzia, ti ricorda gli amici e le avvenutre vissute nell’età più bella: l’adolescenza. Anche se dopo l’esperienza studentesca non ho fatto altre esperienze politiche sul versante libico, le mie battaglie per uno sviluppo democratico del mio Paese non sono mai cessate.
Tu hai una formazione da ingegnere, quale è il percorso che ti ha portato a diventare giornalista?
Gli studi di Ingegneria erano in realtà un ripiego. L’interesse principale, da giovane, era la scrittura. Al liceo curavo le trasmissioni della radio interna della scuola. In Italia, ho cominciato a collaborare con i Quaderni del Medio Oriente, rivista diretta da Arturo Schwarz, il grande scrittore, poeta e critico d’arte milanese di origine alessandrina e poi ho diretto le rivista al-Sharara in Italiano e Attariq in arabo. Ho collaborato come corrispondente con il settimanale arabo di Beirut, Al Hourriah e, come esperto sul mondo arabo, con Il Quotidiano dei Lavoratori diretto da Silverio Corvisieri. Il giornalismo è stato per me, al tempo stesso, militanza politica e passione civile. E’ stato fecondo poi l’incontro con Federico Pedrocchi e Marina Forti per la realizzazione di Radio Shaabi, la trasmissione storica di Radio Popolare in lingua araba.
Gli studi di Ingegneria erano in realtà un ripiego. L’interesse principale, da giovane, era la scrittura. Al liceo curavo le trasmissioni della radio interna della scuola. In Italia, ho cominciato a collaborare con i Quaderni del Medio Oriente, rivista diretta da Arturo Schwarz, il grande scrittore, poeta e critico d’arte milanese di origine alessandrina e poi ho diretto le rivista al-Sharara in Italiano e Attariq in arabo. Ho collaborato come corrispondente con il settimanale arabo di Beirut, Al Hourriah e, come esperto sul mondo arabo, con Il Quotidiano dei Lavoratori diretto da Silverio Corvisieri. Il giornalismo è stato per me, al tempo stesso, militanza politica e passione civile. E’ stato fecondo poi l’incontro con Federico Pedrocchi e Marina Forti per la realizzazione di Radio Shaabi, la trasmissione storica di Radio Popolare in lingua araba.
Puoi parlarci del tuo progetto ANBAMED?
ANBAMED sta per Anba’, notizie in arabo e Med, contrazione di Mediterraneo. E’ stata fondata nel 1999 come servizio stampa bilingue in italiano e arabo. E’ un ponte di comunicazione tra i mondi dell’informazione e dell’economia delle sponde del Mediterraneo. Durante la guerra in Iraq è stato ospitato sul sito del Corriere della Sera, raggiungendo un forte apprezzamento di pubblico e di critica. Da lì è iniziata una mia collaborazione con il primo quotidiano italiano che continua a tutt’oggi.
ANBAMED sta per Anba’, notizie in arabo e Med, contrazione di Mediterraneo. E’ stata fondata nel 1999 come servizio stampa bilingue in italiano e arabo. E’ un ponte di comunicazione tra i mondi dell’informazione e dell’economia delle sponde del Mediterraneo. Durante la guerra in Iraq è stato ospitato sul sito del Corriere della Sera, raggiungendo un forte apprezzamento di pubblico e di critica. Da lì è iniziata una mia collaborazione con il primo quotidiano italiano che continua a tutt’oggi.
Sei attivo in prima linea sul fronte delle tematiche sociali e di rispetto dei diritti dell’uomo. Puoi parlarci di iniziative e progetti che stai seguendo?
Solidarietà, difesa dell’ambiente e multiculturalità sono stati i campi che ho seguito da vicino sia nel mio impegno professionale che sociale. A Milano sono stato, per diversi anni, il segretario milanese della Lega per i Diritti e la Liberazione dei Popoli mentre ad Acquedolci, provincia di Messina dove vivo atualmente, ho partecipato alla fondazione del circolo ARCI “A. C. Mediterraneo” – Casa delle Culture. Uno dei nostri impegni è stato quello di realizzare il Campo Solidarietà (www.camposolidarieta.it) per raccogliere fondi a favore delle adozioni a distanza di bambini e bambine palestinesi. Il nostro contatto diretto è con l’Associazione Najdeh (Soccorso sociale), un’associazione e una cooperativa di donne nate prima in Libano, dall’esperienza tragica del campo di Tell El-Zaatar, e poi diffusa in Siria e nei Territori palestinesi occupati, per organizzare le donne e dare loro lavoro e dignità.
Solidarietà, difesa dell’ambiente e multiculturalità sono stati i campi che ho seguito da vicino sia nel mio impegno professionale che sociale. A Milano sono stato, per diversi anni, il segretario milanese della Lega per i Diritti e la Liberazione dei Popoli mentre ad Acquedolci, provincia di Messina dove vivo atualmente, ho partecipato alla fondazione del circolo ARCI “A. C. Mediterraneo” – Casa delle Culture. Uno dei nostri impegni è stato quello di realizzare il Campo Solidarietà (www.camposolidarieta.it) per raccogliere fondi a favore delle adozioni a distanza di bambini e bambine palestinesi. Il nostro contatto diretto è con l’Associazione Najdeh (Soccorso sociale), un’associazione e una cooperativa di donne nate prima in Libano, dall’esperienza tragica del campo di Tell El-Zaatar, e poi diffusa in Siria e nei Territori palestinesi occupati, per organizzare le donne e dare loro lavoro e dignità.
Nel 2005 hai ricevuto minacce di morte di stampo mafioso. Cosa ha significato questo per te? Ha cambiato qualcosa nel tuo modo di affrontare la vita di tutti i giorni, nel tuo impegno sociale e politico?
Quella delle minacce di morte per aver denunciato all’opinione pubblica le discariche abusive, nei torrenti Inganni e Furiano, nel comune di Acquedolci, è stata un’esperienza che ha irrobustito le mie convinzioni nella lotta democratica per il cambiamento. Io, anche se non sono un cittadino italiano, ho sempre vissuto intimamente il legame con la società che mi circonda. Non mi sono mai tirato indietro di fronte ai doveri di cittadinanza, da uomo di sinistra non ho mai abbassato la testa di fronte al ricatto e alle lusinghe del potere. Proprio in questi giorni si sta tenendo il processo contro chi mi ha minacciato. Il risvolto tragicomico della vicenda è il ribaltamento dei ruoli con la mancata espressione di solidarietà e poi con le querele da parte dell’amministrazione comunale. Per fortuna, il peso di quelle minacce l’ho condiviso con chi mi stava vicino, i compagni dei DS, partito al quale ero iscritto; gli amici dell’ARCI e i colleghi in tutta Italia che mi hanno espresso solidarietà. Ho ricevuto più di 20 mila messaggi di vicinanza. Ho ricevuto telegrammi da Vincenzo Consolo, Dario Fo, Franca Rame, Piero Scaramucci e Gad Lerner. L’ordine dei giornalsiti della Sicilia mi ha espresso una bellissima testimonianza di solidarietà. Non mi sono trovato solo e questo è stato un segnale forte a chi mi voleva isolato e intimorito. Certo, nei primi giorni non è stato facile riorganizzare la vita: per una settimana i miei due gemelli non sono andati a scuola, perché ho dovuto cambiare stile e abitudini di attività quotidiana.
Quella delle minacce di morte per aver denunciato all’opinione pubblica le discariche abusive, nei torrenti Inganni e Furiano, nel comune di Acquedolci, è stata un’esperienza che ha irrobustito le mie convinzioni nella lotta democratica per il cambiamento. Io, anche se non sono un cittadino italiano, ho sempre vissuto intimamente il legame con la società che mi circonda. Non mi sono mai tirato indietro di fronte ai doveri di cittadinanza, da uomo di sinistra non ho mai abbassato la testa di fronte al ricatto e alle lusinghe del potere. Proprio in questi giorni si sta tenendo il processo contro chi mi ha minacciato. Il risvolto tragicomico della vicenda è il ribaltamento dei ruoli con la mancata espressione di solidarietà e poi con le querele da parte dell’amministrazione comunale. Per fortuna, il peso di quelle minacce l’ho condiviso con chi mi stava vicino, i compagni dei DS, partito al quale ero iscritto; gli amici dell’ARCI e i colleghi in tutta Italia che mi hanno espresso solidarietà. Ho ricevuto più di 20 mila messaggi di vicinanza. Ho ricevuto telegrammi da Vincenzo Consolo, Dario Fo, Franca Rame, Piero Scaramucci e Gad Lerner. L’ordine dei giornalsiti della Sicilia mi ha espresso una bellissima testimonianza di solidarietà. Non mi sono trovato solo e questo è stato un segnale forte a chi mi voleva isolato e intimorito. Certo, nei primi giorni non è stato facile riorganizzare la vita: per una settimana i miei due gemelli non sono andati a scuola, perché ho dovuto cambiare stile e abitudini di attività quotidiana.
Si sa poco della tua Libia, a parte il passato ‘coloniale’ italiano o le stravaganze di Gheddafi. Ci puoi dare una mano a conoscerla meglio consigliando ai nostri lettori, ad esempio, qualche libro, film, musica da ascoltare?
La Libia è un Paese che ha la sua storia prima del colonialismo italiano e avrà un futuro anche nel dopo-Gheddafi. Non è facile presentare il mio Paese nello spazio di un’intervista. Potrei cadere nel facile e banale campanilismo. Per farsi un’idea sulla Libia, che è un paese ricco di storia e cultura e non è riducibile a cliché prefabbricati, consiglio i lettori di andare a visitare i siti del vignettista Mohammed Zwawe, ascoltare le canzoni di Ahmed Fakroun. L’editoria italiana, dopo un sonno di 50 anni, ha scoperto gli scrittori libici e pubblicato alcune opere. Consiglio la lettura dei romanzi di Ibrahim Kuni, Sadeq Nayhoum e Ahmed Ibrahim Faqih o i saggi di Mohammed Bazama e gli articoli di Abi El-Kafi. Esiste una canzone per bambini, realizzata da un gruppo di Bengasi, che è semplicemente straordinaria. Da sola questa piccola opera dimostra che la Libia non è soltanto uno scatolone di sabbia colpito dalla manna/disgrazia dell’oro nero, ma un paese normale e come tutti gli altri è pieno di creatività ed umanità. Vi fornisco il link per ascoltarla: http://www.youtube.com/watch?v=5ux4iJPC0XUfoto di Grazia Bucca
La Libia è un Paese che ha la sua storia prima del colonialismo italiano e avrà un futuro anche nel dopo-Gheddafi. Non è facile presentare il mio Paese nello spazio di un’intervista. Potrei cadere nel facile e banale campanilismo. Per farsi un’idea sulla Libia, che è un paese ricco di storia e cultura e non è riducibile a cliché prefabbricati, consiglio i lettori di andare a visitare i siti del vignettista Mohammed Zwawe, ascoltare le canzoni di Ahmed Fakroun. L’editoria italiana, dopo un sonno di 50 anni, ha scoperto gli scrittori libici e pubblicato alcune opere. Consiglio la lettura dei romanzi di Ibrahim Kuni, Sadeq Nayhoum e Ahmed Ibrahim Faqih o i saggi di Mohammed Bazama e gli articoli di Abi El-Kafi. Esiste una canzone per bambini, realizzata da un gruppo di Bengasi, che è semplicemente straordinaria. Da sola questa piccola opera dimostra che la Libia non è soltanto uno scatolone di sabbia colpito dalla manna/disgrazia dell’oro nero, ma un paese normale e come tutti gli altri è pieno di creatività ed umanità. Vi fornisco il link per ascoltarla: http://www.youtube.com/watch?v=5ux4iJPC0XUfoto di Grazia Bucca