Di Leonardo Martinelli da Repubblica.it del 1 dicembre 2023
L’harissa è tutto un mondo in Tunisia: elemento federatore di un Paese intero, una costante della cucina nazionale, il sapore dei piatti della mamma. Da alcuni anni questa pasta a base di peperoncino è anche diventata di moda in Europa, soprattutto fra i giovani e in particolare in Francia, ma ormai pure in Italia, dove da poco una salsa molto simile al condimento tunisino viene commercializzata nei McDonald’s. Ebbene, da oggi l’harissa rappresenta addirittura per l’Unesco “un “patrimonio culturale immateriale dell’umanità”.
In questi giorni il comitato ad hoc dell’organizzazione, che assegna il riconoscimento (destinato non solo e non tanto a un prodotto ma a tutto il “know how” e alla tradizione che si porta con sé), è riunito a Rabat, in Marocco. L’obiettivo è aggiungere qualche novità alla lista. È stato dato il via libera alla baguette francese e stamani finalmente all’harissa tunisina. Questa ha la stessa consistenza del concentrato di pomodoro (l’harissa industriale è venduta perlopiù in tubetti simili). È a base di peperoncino fresco, poi essiccato al sole, mescolato ad aglio, olio d’oliva, sale, coriandolo e carvi. Esiste poi qualche variante, come l’aggiunta di cumino o in altri casi (più rari) di limone. Ma in realtà le varietà (tantissime) di harissa dipendono soprattutto dal tipo di peperoncino utilizzato, che la rendono più o meno piccante (ma tale lo è in ogni caso…).
“Utilizzata come condimento, ingrediente o addirittura come un piatto a sé”, si legge nel dossier di candidatura, che era stato presentato dalla Tunisia all’Unesco. E in effetti nel Paese i ristoranti la propongono all’inizio di ogni pasto, da gustare con il pane e l’aggiunta, se si vuole, di tonno e di olive. “Rappresenta un elemento identitario del patrimonio culinario nazionale – si legge ancora nel dossier – e un fattore di coesione”. Sì, l’harissa caratterizza la cucina della Tunisia dal Nord al Sud, dal Mediterraneo fino al Sahara. Anche se il grosso dei peperoncini utilizzati per la sua preparazione, soprattutto dai marchi industriali (come Sicam, uno dei più famosi), è raccolto fra metà agosto e metà ottobre nei campi del capo Bon, penisola vicina a Tunisi e che si protende in mare verso l’isola di Pantelleria. Nabeul, la città principale del capo, a una settantina di km a sud-est da Tunisi, è considerata la capitale dell’harissa. Da sottolineare: oltre alla produzione industriale (solo la Francia, il primo consumatore fuori dall’Africa, ne ha importate 4mila tonnellate nel 2020), tante famiglie tunisine continuano a fabbricarla artigianalmente, ognuna con la propria ricetta.
Da alcuni anni, in parallelo con la diffusione dello street food tunisino nelle strade di Parigi, l’harissa è sempre più di moda fra i giovani francesi. Anche gli chef vi fanno ricorso per le loro sperimentazioni, vedi Alexandre Mazzia, tre stelle Michelin a Marsiglia, e il suo noto dessert a base del prodotto tunisino e di crema di fragole, il tutto servito su un cucchiaino (esplosivo, di piccole dimensioni…). D’altra parte in Tunisia esiste una variante dolce dell’harissa, con mandorle e sciroppo di zucchero. Nelle ultime settimane in Italia (e solo qui) McDonald’s ha iniziato a proporre una salsa (Jimmy Hot Sauce) simile all’harissa e ideata da Ghali, il trapper italiano, figlio di due tunisini. Viene associata a un menu speciale a lui dedicato, che è testimonial del marchio di fast food.