Da ANSAmed del 4 settembre 2017
Un’intensità e un coinvolgimento nel canto che pensando a modelli ‘popular’ europei si potrebbe paragonare a Edith Piaf o Mina. Era l’arte che ha portato la cantante egiziana Oum Kulthum (1900-1975) a diventare un’icona del mondo arabo e non solo, tanto che al suo funerale presenziarono quattro milioni di persone. Le rende omaggio Shirin Neshat (a regia e sceneggiatura ha collaborato anche il marito dell’artista iraniana, Shoja Azari) in Looking for Oum Kuthum, coprodotto dall’italiana Vivo Film e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, alle Giornate degli Autori.
Non è un classico biopic, ma un viaggio intimo che intreccia la storia, i dubbi e i problemi di una regista iraniana di oggi (Neda Rahmanian), impegnata nelle riprese di un film su Oum Kulthum, a sguardi sul mistero della cantante egiziana, interpretata da Yasmin Raeis. Attentissima a proteggere il suo privato (“si è sposata cinque volte anche se una parte del pubblico pensava fosse gay” spiega Shoja Azari), appoggiò pubblicamente prima re Faruk e poi la svolta del movimento nazionalista di Nasser.
“In tutto il mio lavoro, ho sempre raccontato le donne intrecciandone le vicende alla realtà politica, come ho fatto ad esempio nel mio primo film, Donne senza uomini, che era sul colpo di stato in Iran del 1953 – spiega Shirin Neshat, che ha lasciato il suo Paese oltre 40 anni fa -. Oum Kulthum si è sempre impegnata per sostenere il suo popolo, una cosa che ne ha aumentato il rispetto nel pubblico: è un personaggio che anche oggi è amato incondizionatamente, dagli arabi come dagli israeliani, da uomini e donne, è un fenomeno unico”.
Nel film “la mostriamo come il prodotto di una società che è stata cosmopolita. Va ricordato che le donne hanno votato prima in Egitto che in molti paesi europei – aggiunge Shoja Azari -.
Oggi il mondo arabo viene percepito come integralmente permeato dal fondamentalismo, ma questo rappresenta per me, rispetto alla complessa e lunghissima storia della società mediorientale, un fenomeno piccolo che non durerà. E’ un peccato che si parli solo di questo aspetto rispetto alla cultura araba”.