di Chiara Maria Lévêque
Azza Filali ci racconta la Tunisia del 2009, attraverso la vita di alcuni luoghi ai margini dello sviluppo economico e turistico del Paese, dove i calcoli del cemento armato si comprano, i ragazzi studiano in un istituto professionale ai bordi della discarica, le donne si interrogano sulla possibilità ammessa o meno dalla sharia di mostrare i piedi al fine di scegliere la lunghezza più appropriata delle loro gonne e i giovani hanno un unico sogno:accaparrarsi il loro posto su un barcone per l’Italia.
In questo spaccato di Paese ancora legato alla tradizione e immerso nella povertà, l’avvocatessa Michkat Ben Younes, imponente con i suoi centottantotto centimetri di altezza, rivendica con coraggio la sua autonomia e la sua condizione di divorziata, cercando con ostinazione un nuovo lavoro dopo aver dato le dimissioni dallo studio di un avvocato immorale e libertino. La donna, cheguarda con ironia ai costumi islamici e convive da anni con il complesso di quel suo corpo troppo grande e particolare, combatte la solitudine occupandosi della gestione della villa sul mare dei suoi anziani genitori.
Lasciata in mano a un custode dedito all’alcol e al fallimentare controllo della propria famiglia, la villa, il cui giardino ospita il corpo dell’antico proprietario francese, si ritrova ben presto al centro di un intrigo che oltre a Michkat coinvolge anche Rached e Mansour.
Rached è un impiegato di mezza età di Nabeul costretto a condurre una vita “insipida e diligente” in rotta con la moglie dal momento della nascita delle gemelle. Una sera l’incontro casuale con l’ex compagno di classe Mansour gli cambierà la vita. Messo di fronte alla proposta di un incarico di lavoro come segretario privato e guardia del corpo di un importante personaggio di cui non gli è dato conoscere i dettagli, Rached inizialmente rifiuta: “Ti rispondo subito: la tua proposta non m’interessa e la finiamo qui. Contento di averti rivisto” … Salvo accettare l’incarico tre giorni dopo, intascando felice il cospicuo anticipo sulla paga.
Alla ricerca di un luogo sicuro dove nascondere il misterioso Naceur, Rached prende in affitto all’insaputa di Michkat la sua villa, grazie alla compiacenza dell’infedele custode. Qui vi trascorrerà il tempo necessario a far sì che il suo protetto riceva il passaporto con la nuova identità per fuggire dal Paese. Se Rached è un perdente ossessionato dalla bella Faiza, Mansour è decisamente più spregiudicato: condannato a dieci anni per traffico di passaporti falsi, è graziato dopo quattro lunghi anni di cocaina e patimenti, in virtù dell’intervento di un altro misterioso individuo per il quale inizierà a lavorare, svolgendo incarichi segreti e delicati come l’operazione in corso.
L’uomo da proteggere è Naceur, ingegnere autore di truffe nei calcoli edili e responsabile della morte di cinquanta scolari causata dal crollo di uno dei ponti, realizzati con calcestruzzi adulterati per ingrossare le tasche di quelle stesse persone che sono ora in grado di fornirgli il passaporto falso per metterlo in salvo, a patto che lui fornisca ancora una volta i suoi servigi. Ma Naceur non ne ha più voglia. “Ubbidire, desiderare il denaro, due ingredienti che bastano a distruggere un’esistenza”. Come andrà a finire?
La vita scorre tranquilla alla villa,tra i bagni in mare di Rached e le imprese di Abderrazak, il figlio del custode, impegnato nella gestione di un incessante traffico di persone e barconi verso l’Italia. Eppure qualche cosa sta per cambiare: Michkat non tarda a scovare gli abusivi inquilini della villa e a riportare alla memoria l’identità di Mansour, incrociato anni prima in un’aula di tribunale.
Il fratello di Michkat le suggerisce di avvertire immediatamente la polizia. “Povero Mehdi, i suoi otto anni in Canada gli hanno alterato i riflessi, togliendogli la tipicità tunisina più elementare”: I poliziotti, se si prepara un grosso colpo, sono sempre della partita e così la donna decide di cavarsela da sola.
A questo punto la narrazione costruisce per alcune pagine una buona atmosfera di suspense che si stempera poi con l’immagine di Michkat seduta a cena con gli occupanti abusivi della sua villa, intenta a condurre una piacevole conversazione come tra vecchi amici, preludio alla nascita di una simpatia tra lei e il criminale da proteggere.
Uno di loro morirà, rendendo un favore passato, mentre per gli altri si aprirà lo spiraglio di un nuovo futuro, ma in queste ultime pagine non si assapora più l’intrigo, inoltre la costruzione narrativa generale non sempre facilita la comprensione della storia. II libro trasuda decadimento e rassegnazione e lascia in bocca il sapore di una Tunisia ancora in cammino dove i poliziotti sono stupratori e violenti, dove i soldi comprano tutto e dove l’unica alternativa è il mare che accompagna la speranza di un futuro migliore in Italia.
La scrittura è ricercata, la trama interessante eppure non così coinvolgente da farci “divorare” il libro in pochi giorni, forse anche a causa del freno indotto dall’immagine che abbiamo di una splendida Tunisia che fatichiamo a ritrovare in queste pagine.
Azza Filali, Ouatann ombre sul mare, Fazi Editore, 2015