a cura di Camille Eid
Ghazi Makhoul tiene spesso seminari e conferenze sulla musica e cultura arabe. In Libano ha studiato il liuto con Iskandar Baramili e il canto con Wahab Ezzo prima di formare, nel 1979, Firqat al-Arz (il Gruppo dei cedri) con musicisti famosi e qualificati. In Italia – dove vive dal 1982 – ha cominciato a suonare nel 1985 con il gruppo di musica araba classica Ziryab, esibendosi in diverse città. Ha collaborato con Sigrid Lea, con repertorio di musica rinascimentale e lavora tuttora con l’ensemble di musica medievale Cantilena antiqua. Attualmente vive a Milano, dove svolge la sua attività musicale, ma viene invitato spesso a esibirsi all’estero, anche nei Paesi arabi.
Raccontaci come e perché sei arrivato in Italia…
Come tutti gli adolescenti innamorati dell’arte, sognavo da giovane di studiare architettura in Italia visto che favevo i miei studi alla scuola italiana di Tripoli, nel Nord del Libano. All’ultimo anno di Baccalaureato ho cosi presentato una domanda per venire a studiare qui, e la mia domanda è stata accettata. Sono quindi arrivato nel 1982 per studiare Ingegneria al Politecnico di Torino, ma dopo quattro anni ho preferito passare alla Facoltà di architettura di Milano dove mi sono laureato e dove svolgo attualmente il mio lavoro come architetto.
Architetto-musicista, allora. Che rapporto hai con l’oud, il tuo strumento preferito?
Ho un rapporto meraviglioso e direi intimo. Mi ricordo che quando mi preparavo all’esame della scuola media in Libano lo tenevo sempre con me e suonavo mentre studiavo al punto che mio padre mi diceva che mai sarei riuscito a passare quell’esame. I risultati gli hanno invece dato torto e così ho avuto il suo benestare per andare a studiare ufficialmente l’oud. C’è da dire che anche mio padre è liutista e compositore e che suonare il liuto faceva parte dell’atmosfera di casa, oltre ad avermi fatto innamorare di questo magico strumento che continuo a tenere stretto per tutto ciò che mi regalato in ogni momento della vita e per ciò che mi ha fatto diventare.
Conoscendo la varietà di musica araba, tu che cosa intendi esattamente quando parli di essa nelle tue conferenze e seminari?
Ci vorrebbero giorni e giorni per spiegare cosa sia la musica araba. Quando ne parlo alle mie conferenze o seminari io parlo della nostra vita, dei nostri sentimenti, del nostro divenire quotidiano, dei nostri segreti e, perché no, della nostra bravura. La musica araba non è una musica scritta, perlomeno quella tradizionale, al quale siamo molto attaccati perché ci rappresenta. E proprio perché non è una musica scritta, essa lascia a te di sviluppare le tue genialità per esprimere i tuoi sentimenti, il tuo modo di essere. Ed è per questo una musica modale che viene sviluppata in senso orizzontale, non in senso verticale come lo è nell’armonia. A differenza della musica occidentale, dove esistono due scale musicali, la maggiore e la minore, nella musica araba esistono più di mille modi o scale musicali teorici e la bravura del musicista si misura in base a quanti modi e brani abbia imparato a memoria.
Quanto il tipico genere musicale libanese occupa spazio nelle tue performance orientali? Ci sono cantanti preferiti per te?
Si dice che chi vive in città abbia problemi di vista e – aggiungo io – anche problemi di voce. Non lo dico per l’inquinamento, ma per l’impossibilità di liberare la voce ogni volta che si voglia. Dove sono nato e cresciuto, un’area della montagna libanese, andavo da piccolo con i miei compagni a contare e a suonare nei campi ad alta voce. Cosa che non avremmo mai potuto fare in città. Da qui la mia passione – diventata poi formazione – per quel timbro che distingue alcuni cantanti libanesi e per il cosiddetto genere Jabali, montanaro. Il miglior rappresentante di questo genere è senza dubbio il grande cantante libanese Wadih as-Safi al quale mi sono molto ispirato.
In Italia hai esordito in innumerevoli concerti. Sei soddisfatto della tua vita di musicista?
Per quel che ho fatto dico assolutamente di sì. Ma la vita di un musicista non si ferma sicuramente alle cose che ha già fatto, ma sulle cose che deve ancora fare, sulla sua continua evoluzione.
Hai fondato o partecipato a vari gruppi musicali. Ce n’è uno che preferisci in particolare?
Sono affezzionato al gruppo Ziryab, che prende il nome dal noto musicista andaluso di origine irachena che tanto ha dato al liuto. Il gruppo l’ho fondato nel 1986 insieme al violinista marocchino Jamal Ouassini. insieme abbiamo girato praticamente il mondo.
Hai creato con Eyal Lerner “Voci di pace” che ha riscosso molto successo. Ci spieghi come è nata l’idea e in che cosa consiste.
L’idea nasce nel 2001 quando, tramite un amico comune, incontrai Eyal Lerner e da li è nata l’idea di fare musica insieme. Entrambi crediamo nel valore della pace e nel fatto che la musica possa avvicinare le persone. E’ così nata l’idea dei concerti per la pace. All’inizio ognuno di noi suonava il proprio brano musicale stando insieme sullo stesso palcoscenico, per finire suonando insieme gli stessi brani della cultura musicale araba ed ebraica.
Stai lavorando attualmente su qualche nuovo progetto?
I progetti non finiscono mai. Sto lavorando su un’idea che sogno da anni… Un musical libanese. Spero di riuscirci, compatibilmente con tutti gli altri impegni.
Qual è il tuo rapporto con l’Italia visto che vivi qui da moltissimi anni?
Immaginate di studiare in una scuola italiana in Libano poi, all’età di 18 anni, partire per l’Italia. Oggi ho 47 anni, una vita! Se fino 18 anni ho vissuto una sola realtà, quella libanese, da 18 anni in poi ne ho vissute due, libanese e italiana. Due culture talmente diverse e talmente vicine. La mia identità è questa e sono fiero di essere figlio di tutte e due, insieme cittadino libanese e cittadino italiano.